Editoriale del numero 2.4

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L’Ortodonzia è diventata sinonimo di scienza in continuo cambiamento negli ultimi anni. Nuovi materiali, nuove idee arrivano ogni giorno. Spesso idee geniali vengono disprezzate solo perché “nuove” o perché in contrasto con i dogmi scolastici. Pensiamo a ciò che successe a C. Tweed quando presentò i suoi casi estrattivi alla comunità ortodontica. Venne accusato di essere un pazzo, un visionario che stravolgeva gli insegnamenti del maestro E. Angle. Eppure le teorie di Tweed hanno costituito un grande progresso nella storia dell’Ortodonzia moderna.

Una storia monito che ci ricorda che cosa avviene quando una società si aggrappa alle proprie vecchie convinzioni e non riesce ad adattare il comportamento alle realtà mutevoli del mondo in cui viviamo, viene citata in un libro che consiglio a tutti di leggere: The Trouble with Science, di Robin Dunbar.

Quando negli ultimi decenni del X secolo, i Vichinghi colonizzarono la Groenlandia, portarono con sé tutti gli usi, i costumi e le risorse agricole che erano serviti bene nelle loro terre di origine in Scandinavia. All’inizio tutto sembrò andare per il verso giusto: la colonia arrivò ad avere circa 3000 persone sparse in 300 fattorie. Nella seconda metà del XIV secolo però, a causa della diminuzione della temperatura per l’inizio della piccola era glaciale, la situazione peggiorò drasticamente: il bestiame non sopravviveva e la coltivazione del granoturco si ridusse. Il freddo e gli scarsi viveri decimarono la popolazione e nell’anno 1410 la comunità vichinga si estinse.

L’insuccesso sembra sia stato creato proprio dall’incapacità della comunità vichinga a cambiare abitudini culturali adattandole alle nuove condizioni. I vichinghi pensarono che lo stile di vita acquisito nei secoli in Scandinavia potesse far fronte alle necessità delle nuove terre. Anche se la Scandinavia ha una latitudine simile alla Groenlandia, differisce per un elemento essenziale: la corrente del Golfo, che lambendo le sue coste, crea un clima molto più mite. A parità di latitudine il clima della Groenlandia è molto più rigido. Diversamente dai primi coloni americani che appresero dagli Indiani le tecniche di caccia e di sopravvivenza, i Vichinghi si rifiutarono di adattarsi alla vita degli esquimesi, dotati di una lunga esperienza alla vita nell’Artico. La cultura rigida degli Scandinavi considerava gli esquimesi solo un popolo incivile e pagano. In più i Vichinghi ebbero la sfortuna di imbattersi in 3 fattori negativi. Il primo è che i coloni vichinghi erano riusciti a sopravvivere per tre secoli usando le loro tecniche scandinave: quando una pratica culturale funziona, si è molto restii a cambiarla. Il secondo fattore è che i cambiamenti climatici si svolsero lentamente: quando capirono che l’aumentare degli stenti non era dovuto solo ad un’annata sfortunata, ma rifletteva un andamento lineare, fu troppo tardi per trovare un rimedio. Il terzo fattore, forse il più importante fu che i vichinghi entrarono in contatto tardi con gli eschimesi e non compresero la loro superiorità tecnica nella sopravvivenza al clima artico. Ad esempio gli eschimesi costruivano velocemente igloo per seguire i branchi di mammiferi marini migratori da cacciare, mentre i vichinghi usavano case di pietra troppo complesse per essere costruite in breve tempo e per periodi transitori. L’arroganza dei vichinghi verso gli eschimesi pagani li rese meno pronti ad imparare le tecniche di sopravvivenza. I Vichinghi della Groenlandia non furono l’unico esempio di società incapace di accorgersi che i tempi cambiavano ed esigevano nuove soluzioni al problema sopravvivenza. Il loro triste destino dovrebbe essere un monito delle terribili conseguenze che deve attendersi chi non riesce a mettere in discussione i propri assunti sul funzionamento del mondo.

Non dobbiamo però essere pessimisti. L’efficienza con cui gli eschimesi affrontarono le medesime condizioni ci ricorda che è sempre possibile sopravvivere quando si introducono i cambiamenti tenendo in debito conto le lezioni apprese dai successi e dai fallimenti del passato.

Alberto Mazzocchi
VJO associate editor